Gli spettri della Prima Repubblica

Non sono spettatrice assidua delle serie tv, non riesco ad avere la pazienza di piazzarmi sul divano davanti allo schermo e seguire vicende immaginate da un gruppo di sceneggiatori il cui primo obiettivo è di stupirmi, scioccarmi, come si dice farmi emozionare a colpi di tecniche narrative e effetti speciali.

Però Esterno notte di Marco Bellocchio mi incolla sul divano (peraltro assai scomodo) per molti motivi: innanzitutto perché c’è lo sfondo storico di anni che io ho vissuto da ragazza, i famigerati “anni di piombo” che con grande coraggio Bellocchio mostra per ciò che erano, con le zone grigie di complicità nei confronti delle bande armate sia nelle fabbriche che nelle università e negli istituti superiori; c’è la ricostruzione di un rapimento finito tragicamente, il famoso “caso Moro” come lo chiamò Leonardo Sciascia nel suo celebre libro del 1978, intuendone l’intreccio di poteri coinvolti; ma soprattutto c’è la maestria nell’affrontare una materia molto complessa e delicata con la multi-focalizzazione, cioè la narrazione attraverso vari punti di vista e quell’ambientazione buia, notturna, in cui i protagonisti appaiono come spettri.

Cerei, insonni, severi, privi di calore e di sorriso, sono figure che mettono i brividi, simili ai fantasmi shakespeariani che rammentano delitti e altri delitti preludono, in palazzi non a caso rinascimentali e barocchi, come il Vaticano o Montecitorio, dove i personaggi storici perdono i loro connotati realistici per assumerne di simbolici, diventando incarnazioni di poteri rigidi e violenti, inamovibili pur in democrazia, poteri secolari identificati con teocrazia e patriarcato.

Di massimo livello perciò il cast: da un impareggiabile Fabrizio Gifuni in veste di Moro, alla “garanzia” Toni Servillo papa perfetto, a Daniela Marra che restituisce il delirio della brigatista Adriana Faranda, a Margherita Buy che diventa una Eleonora Moro più definita, una donna fuori dall’ombra del potente marito.

Confesso di vedere questo lungo film e soffrire, provare una paura profonda per la follia che scaturì un’insopportabile violenza. Come quasi tutti gli italiani di allora e di oggi, oltre a provare compassione per l’uomo Moro, non si può che riavvertire il rimpianto della mancata lucidità di restituirlo sano alla sua famiglia e soprattutto alla nostra società.

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