Libere disobbedienti innamorate è il titolo un po’ fatuo del bel film della regista palestinese Maysaloun Hamoud, che racconta di tre giovani donne a Tel Aviv, tre palestinesi che mostrano facce diverse dell’essere donna araba, oggi.
Leila è un’avvocata brillante, sexy e bella, che passa le notti nel tipico sballo metropolitano che accomuna Tel Aviv alle città occidentali; Salma è una dj di famiglia cristiana ortodossa, che condivide con l’amica le notti allegre, oltre che l’appartamento. Infine Noor, la nuova coinquilina, è una musulmana osservante, con tanto di velo e camicione che la copre dal collo ai piedi, studentessa e fidanzata con un uomo molto religioso.
Il titolo originale, in inglese, è In Between, Nel mezzo, ed è assai significativo. Non soltanto per la condizione di queste ragazze, che, oltre ad essere palestinesi dentro Israele (cioè appartenenti a un popolo senza stato dentro uno stato che non permette un’integrazione) sono donne che vogliono essere libere e dunque si scontrano con le famiglie (Salma, omosessuale, viene minacciata di essere rinchiusa in manicomio dal padre), con la violenza degli uomini che prima di tutto esercitano la sopraffazione sulle donne (come il pio fidanzato che violenta Noor) e con la cultura patriarcale da cui non sfugge neppure il liberal, moderno compagno di Leila, che dalla sua donna si aspetta di mantenere il decoro.
Ma è significativo, questo titolo “Nel mezzo”, anche per noi italiani, se ricordiamo ancora l’eco dell’inizio folgorante del nostro poema antico, “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, perché è lì che noi tutti siamo, quando manca la comprensione, quando siamo addolorati e incerti, quando le nostre istanze di libertà umana, di persona, vanno a configgere contro muri di ostilità ideologica, tradizionale e arcaica.