Durante gli incontri con i lettori (grandi e piccoli), molti chiedono se ci sarà un seguito della storia. A volte penso che ormai le persone siano abituate alla serialità sia televisiva che letteraria, ma una spiegazione mi arriva da Proust (qualcuno ancora sa chi è, altrimenti, prego digitare su Google):
“Una della grandi e meravigliose caratteristiche dei bei libri è questa: che per l’autore essi potrebbero chiamarsi “conclusioni” e per il lettore “Incitamenti”. Noi sentiamo benissimo che la nostra saggezza comincia là dove finisce quella dello scrittore; e vorremmo che egli ci desse delle risposte, mentre tutto ciò che egli può fare è solo d’ispirarci dei desideri. Desideri che può destare in noi solo facendoci contemplare la bellezza suprema che il supremo sforzo della sua arte gli ha permesso di attingere. Ma per una legge singolare e provvidenziale dell’ottica spirituale – legge che significa forse che la verità non possiamo riaverla da nessun e che dobbiamo cercarla noi stessi – quel che rappresenta il termine della loro saggezza ci appare soltanto come il principio della nostra: in modo che, proprio nel momento in cui hanno detto tutto quanto ci potevano dire, essi fanno nascere in noi il sentimento che non ci abbiano ancora detto nulla. D’altro canto, se noi rivolgiamo loro domande cui non possono rispondere, chiediamo anche risposte che non c’istruirebbero per niente: perché un effetto dell’amore suscitato in noi dai poeti è di farci attribuire un’importanza letterale a cose che per loro sono soltanto significative di sentimenti personali.”(Marcel Proust, Giornate di lettura, Einaudi, 1958)
Non sarebbe questa una bella traccia per un tema della maturità?