Buffo. In questo mese escono ben due guide “non guide” su Napoli, oltretutto di due autori di tutto rispetto: Antonio Pascale con il suo “Non scendete a Napoli” (Rizzoli) e Antonella Cilento con il “Bestiario napoletano” (Laterza). Due modi assai diversi di raccontare e confrontarsi con una città molto narrata, molto amata e molto odiata nel tempo anche da massimi artisti e intellettuali di tutto il mondo, una città indubbiamente meravigliosa, patria di quasi tutto, dal cibo alla musica alle rivoluzioni, e città germinante miseria e disgrazia, un posto dove è meglio “non andare” come consiglia ironicamente Pascale nella “controguida” brillante, eppure bisogna assolutamente andare, soprattutto mentre si legge il ricco, fecondo e sorprendente volume di Cilento.
Perché, se Pascale ci chiede di abbandonare il sentimentalismo che dipinge una città olografica, la passione e la conoscenza profonda della città di Antonella Cilento ci fanno innamorare di nuovo di quelle strade dove passeggiano “scarrafoni” e “zoccole”, cariche di lapidi di tutti quelli che vi hanno abitato segretamente, da Goethe fino a Sandor Marai, dove ogni pietra può raccontare una storia, che a differenza di altre città italiane illustri è anche una storia femminile, dove le donne hanno contato e molto, hanno costituito le fondamenta dell’emancipazione e della realizzazione femminile.
La Napoli di Antonella è antica, con i suoi palazzi abitati da fantasmi, ed è contemporanea nei suoi personaggi della vita notturna e del divertimento, una Napoli di pr dei locali e di gigolò accanto alla Napoli del volontariato, dell’accoglienza di migranti, della cultura di librai irriducibili e di insegnanti valorosi che lavorano con passione e fierezza da decenni nei rioni più difficili. Tra le bestie di una “terra incarognita” ci sono molte, commuoventi, “bestie rare”.