Tra i grandi piaceri dell’amicizia ormai ventennale con Lia Levi, c’è quello di poter leggere i suoi romanzi in anteprima. Questo suo nuovo lavoro, frutto di grande ricerca e impegno dello scorso anno, mi ha specialmente coinvolta e commossa. E’, sì, una storia che ci ricorda la persecuzione antisemita, il Fascismo, la guerra, ma è soprattutto il romanzo di relazioni e sentimenti all’interno di una famiglia che se è molto diversa da quelle di oggi, perché è passato un arco di tempo impressionante, oggi dilatato dall’imperio tecnologico, per altri aspetti contiene somiglianze nel rapporto genitori-figli, nelle piccole competizioni familiari, che restano intatti, impenetrabili ai salti sociali ,frutto di grandi invenzioni che incidono negli usi ma non nei sentimenti.
Così il bambino “piccolo genio” su cui la madre riversa aspettative di gloria, ha il corrispettivo con i tanti bambini che fin da piccoli sono incaricati di primeggiare e avere successo nel mondo di oggi così narcisista e avido di visibilità e di denaro. Quando poi il “genietto” si rivela più normale, più fragile, la delusione è irreparabile e porta quasi a una sorta di lutto personale. E’ il destino di Alessandro, bambino che arriva tardi in una famiglia senza altri figli, dove perciò si trova vezzeggiato dai genitori dal nonno e dagli zii, e in cui appare come un piccolo sole pieno di qualità, la principale di essere bravissimo negli studi e di saltare le classi fino ad arrivare di corsa al liceo, dove la sua volata subisce un arresto per la disperazione della madre molto ambiziosa.
Presto però i problemi saranno altri e assai gravi: bisogna organizzare una fuga, nell’Italia capitolata e occupata dai nazisti, dove tutti gli ebrei che finora si sono sentiti minacciati ma non in estremo pericolo, prendono coscienza di non avere più scampo. La fuga prende perciò le tinte di altre fughe cui assistiamo oggi: le frontiere si chiudono, non ci sono permessi né protezione né accoglienza, e soltanto alla fine di un viaggio pieno di incertezze padre madre e figlio trovano rifugio in Svizzera.
Questa la storia che però è soltanto il filo narrativo di un romanzo scritto con maestria, con la forza evocativa di frasi pregnanti, con la capacità letteraria di scavare negli animi dei personaggi e mostrarne ombre e luci, con la libertà narrativa di dare corpo a una scrittura più articolata e ricca, e non succube della trama. Si legge e si rilegge, questo libro, come con i grandi romanzi di altri tempi, dei tempi letterari di Natalia Ginzburg, di Anna Maria Ortese, quando i lettori provavano il piacere della lettura dalla bellezza della scrittura.