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Archivio mensile:aprile 2013

promessisposiMa a che serve Manzoni? Una noia mortale! Non è meglio leggere roba più moderna? Più attuale? Fantascienza o avventura, roba che ti scuote, ti emoziona?

Via, a che serve la letteratura? Un mortorio, e che cos’ha a che fare con noi, con oggi?

Per esempio, Manzoni, nel capitolo diciannovesimo dei Promessi Sposi, che, d’accordo, è un romanzo antico e lunghetto, un tantino prolisso e un po’ ricco di descrizioni, insomma, nel capitolo suddetto ci descrive come un certo “Conte zio”, togato, uomo che la sa assai lunga e che manovra nell’ombra, consiglia di agire per mantenere privilegi e poteri:

“son cose, come io le dicevo, da finirsi tra di noi, da seppellirsi qui, cose che a rimestarle troppo… si fa peggio. Lei sa cosa segue: quest’urti, queste picche, principiano talvolta da una bagattella, e vanno avanti, vanno avanti… A voler trovarne il fondo, o non se ne viene a capo, o vengon fuori cent’altri imbrogli. Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire.”

Ecco che la letteratura, antica e lontana, torna vicinissima e attuale, nel farci capire come da sempre ragionano e agiscono i potenti, i “conte zio”. Strano che siano sempre zii.

ironmanUomini veri cioè d’acciaio: infatti Iron Man ha una corazza di acciaio come un guerriero medievale e combatte contro gente sua pari: guerrieri-robot micidiali, bombe umane, e il solito scienziato pazzoide che, rifiutato dalla comunità scientifica o, come in questo caso, dal miliardario ingegnere, fa i suoi esperimenti rosicando la vendetta e diventa un mostro pronto a distruggere il mondo, cioè l’America.

Questo, in sintesi, il terzo episodio di Iron Man appena uscito, che ho visto ieri in un cinema pieno di ragazzi, con il pavimento disseminato di lattine di coca-cola, contenitori di pop-corn, cartacce, semi, eccetera, in pieno stile “garbage” che impera nel nostro paese.

Sono film assordanti che ti si rovesciano addosso, mentre sei inchiodato alla poltrona con indosso gli occhiali per la proiezione 3D, in una specie di esperienza da montagne russe in mezzo a combattimenti, esplosioni, attacchi militari alla villa di Iron Man, villa rasa al suolo da elicotteri tipo Apache, insomma una piccola esperienza dello splendore della guerra dalla quale non sono immuni donne-robot, donne-scienziate e donne-manager come l’eterea, bella e buona Gwyneth Paltrow, da Shakespeare a shake-up. D’altra parte, questo ormai passa il convento hollywoodiano.

lagerbackIo pedalo, e tu? E’ il titolo del volume dedicato alla bicicletta scritto da Filippa Lagerback (edizioni Gribaudo), meglio conosciuta come modella e conduttrice TV. Lo presenterò domani alla libreria Feltrinelli di Firenze alle ore 18 insieme all’autrice. Che ci sorride in copertina, in sella alla sua bella bicicletta bianca con cestino e nelle pagine interne, in pose scattate in città, in campagna, al parco, al mare.

Il libro infatti, oltre a ricordarci quanto fa bene la bici, non solo alla nostra salute ma all’ambiente e alla vita cittadina, e a sfatare i soliti miti sulla necessità di allenamento e sulla difficoltà di andare in bici in città, offre consigli brillanti, se vogliamo da rivista di moda, ma che possono davvero aiutare tante donne a guardare la bici come un mezzo non solo per “sportive” o “fanatiche”, ma per tutte: in bici si può andare con i tacchi alti, con pantaloni larghi, con gonne e leggins, anzi si può essere assai alla moda sul sellino senza il bisogno di camuffarsi in abiti castigati.

Come si sa, sono una grande sostenitrice della bicicletta, non ho l’auto e mi muovo in città con questo mezzo che considero insostituibile. Mentre l’auto per me rappresenta una fonte di ansia con il parcheggio, il traffico, il tempo sprecato in code infinite, oltre che il costo esorbitante della benzina, la bici mi sembra un grande aiuto per arrivare dappertutto in poco tempo. E poi, ha ragione Filippa: a pedalare si mette in marcia anche il cervello, si pensa, si ricorda, e non ci si infuria. A differenza degli autisti, i ciclisti sono zen.

limonovRaccomandato da amici di cui mi fido, Limonov di Emanuele Carrere mi ha davvero coinvolto. Chissà, forse perché è uno di quei libri inclassificabili: non è un romanzo, non è una biografia, non è un articolo, ma inizia come un articolo giornalistico, è invece la storia di un rapporto tra l’autore, Carrere appunto, e il suo personaggio, un uomo che esiste davvero, un lestofante, artista, rivoluzionario, assassino, che dalla Russia passa negli USA, poi in Francia, e di nuovo in Russia e in fin dei conti, come con grande ironia dice l’autore, è un fallito e tale si sente perché la sua ambizione è tanta che in ogni ruolo, in ogni vita che attraversa, non è felice, si aspetta di più, si crede anche più di quel che è e trancia giudizi impietosi su grandi poeti e scrittori, russi come lui, infelici e carcerati, ma mai criminali come lui, che criminale lo è stato per vocazione.

Naturalmente, è la scrittura a rendere tanto appassionante una storia grama e disperata. Carrere usa il metodo di Truman Capote in A sangue freddo, ma Carrere è narratore contemporaneo e nella cronaca romanzata sa inoculare buone dosi di ironia, ricostruendo anche decenni di storia non solo russa. Perché il personaggio-persona che attraversa ambienti e ceti sociali (operaio, artista, proletario, radicale, leader politioc…) permette di raccontare, attraverso la cartina di tornasole della sua vita, una società con le sue contraddizioni, i suoi drammi, i lati sconosciuti e mal interpretati da chi vive in un altro mondo, che sia Francia o resto d’Europa.

Si capisce anche il grande successo della storia: oggi più che mai si cercano storie-verità, che abbiano una forte impronte di esperienza, che mostrino come la realtà sia davvero più avventurosa e impressionante di qualsiasi romanzo. Ma questo, si sapeva: la narrativa è parassita della realtà, ma solo la letteratura sa elevare una vita a romanzo e un delinquente a eroe romantico.

Siamo in attesa che si elegga il nuovo Presidente della Repubblica. Ho scritto “nuovo”, ma la partita è come al solito degli anziani: l’ottuagenario Marini in pole position, seguito da Stefano Rodotà (80 anni). Non si è mai presa seriamente in considerazione una donna, d’altronde il nostro sistema non permette alle donne di avventurarsi troppo in alto, dunque non ci sono nomi spendibili. 

Non che il presidente di tutti gli italiani debba essere per forza giovane, oltretutto c’è una soglia minima di 50 anni. Forse questo paese, dove nascono pochi bambini e i giovani sono respinti dal mondo del lavoro e sono osteggiati, dove il cambiamento di solito è sinonimo di conservazione, questo è proprio “un paese per vecchi”.

bassotto-e-reginaPubblicata per Natale scorso, “Il bassotto e la Regina” di Melania Mazzucco (Einaudi, 2012) è una favola moderna che restituisce un messaggio di coraggio e amore, con un protagonista irresistibile, il bassotto Platone, cane filosofo, poeta e cantante, che grazie alla sua tenacia, al suo cuore gentile e forte, conquista l’orgogliosa, bellissima e ingenua levriera afgana Regina, trasportata illegalmente dal suo paese lontanissimo insieme a molte altre bestiole pronte per il mercato clandestino. Come nelle grandi storie d’amore, i due protagonisti soffrono pene, ciascuno per conto proprio, narrate dal punto di vista di un pappagallo, anche lui rapito e fuggito, ma infine si riuniranno e formeranno una famiglia.

Insomma, è una favola che racconta uno spaccato sociale. D’altronde, l’autrice è di massimo calibro, ma in questa storia commuovente e dolce smorza le tinte fosche, e anche la morte della saggia tartaruga è un trapasso da quella forma animale a un’altra, così quell’animale “guida” resta a suggerire e aiutare, sotto forma di foglia o pulce, simile agli dei antichi che parlavano tramite cespugli o uccelli.

A chi è diretta questa storia? Grandi e piccoli, come si diceva una volta? Di sicuro non è uno di quei libri che hanno il loro precisissimo destinatario, come ormai è d’uso: bambini di tot anni o adolescenti o young adult o adulti-amanti-di favole-classiche e così via. E’ una storia che si legge con grande piacere, e credo si possa leggere ai bambini, ma appunto leggere noi adulti, e nel caso di ragazzi, leggerla insieme ai ragazzi, magari discuterne: di materiale ce n’è quanto si vuole.

commedia-in-minoreCommedia in minore di Hans Keilson è, come dice il titolo, una commedia all’interno di una tragedia, quella dell’occupazione nazista dell’Olanda nella seconda guerra mondiale e del rastrellamento degli ebrei. Ma, a differenza delle commedie che finiscono bene, questa ha un finale curioso e benché racconti del buon cuore e della generosità di una coppia appena sposata e benestante, che ospita segretamente in casa un maturo signore ebreo, sa anche dispiegarne i lati ambigui, d’ombra, quando l’ospite all’improvviso muore di malattia e dunque svanisce l’idea, a fine guerra e fine pericolo, di mostrare al mondo di aver fatto la propria parte di resistenza all’invasore e di difesa dei deboli.

Non solo: quella morte metterà a rischio i due giovani, che si trovano a provare, sebbene per poche settimane, la vita del fuggiasco clandestino, finalmente sentendo, nel vivere sulla propria pelle la paura, più vicino l’uomo che è stato per molti mesi sotto il loro tetto e che pure non hanno mai conosciuto bene. Mi rendo conto che detto in questo modo, sembra che il romanzo (e il suo autore, lo psicanalista ebreo tedesco, scomparso a 101 anni lo scorso anno) faccia dell’ironia su chi aiuta il prossimo o chi, in momenti tanto difficili, si adoperi per chi è in pericolo di morte, mettendo a repentaglio la propria vita.

In realtà, la forza e la novità di questo libro stanno nel gioco del rovesciamento dei punti di vista, e nelle umanissime debolezze di deficit di comprensione, in una tragedia troppo grande e incomprensibile, ( e direi lontano dall’eroismo o dalla retorica della bontà assoluta) di quelli che affrontarono e osteggiarono il male anche con piccoli, significativi, incidenti comportamenti.

Tra i tanti miglioramenti, in un panorama deprimente, c’è l’attitudine allo sport e l’aumento vertiginoso dei podisti (oltre che dei ciclisti) nelle città.

mezza maratona

halfmarathonStamattina ho corso quasi 10 km a Firenze, all’interno della mezza maratona organizzata da UISP, una delle tante feste dello sport che periodicamente si tengono nelle grandi città, gare non competitive di solito partecipatissime. Oggi eravamo circa cinquemila, a volte c’è un’affluenza maggiore, in ogni caso parliamo di numeri di gareggianti impensabili fino a vent’anni fa, quando queste giornate si vedevano in televisione e avvenivano a New York o Parigi.

In più, un tempo erano solo atleti giovani a correre. Oggi corrono bambini e anziani, uomini e donne, purché mediamente allenati, e dediti a uno sport davvero per tutti, senza costi, all’aria aperta. Magari in tante cose saremo ancora indietro, i soliti ultimi della classe in Europa, ma almeno nella sensibilità salutista, nella corsa sportiva, siamo al passo con gli altri, e in certi casi abbiamo anche una marcia in più.

BaumanIl nuovo libro del sociologo Zygmunt Bauman potrebbe essere quasi il corollario del post precedente. E’ un libretto, si legge benissimo e alla svelta, grazie anche alla consueta chiarezza espositiva e tocca punti nevralgici della nostra società. Il titolo è curioso: “La ricchezza di pochi avvantaggia tutti” Falso! (Laterza). Si parte dunque da un vecchissimo adagio per cui i pochi ricchi sanno costruire lavoro e benessere a vantaggio di masse ignoranti che in questo modo possono evolversi.

Niente di più falso, si leggeva già in Dickens, dove i ricchissimi si guardavano bene da migliorare la vita dei loro sottoposti, non fosse mai che poi pretendessero di vivere bene, abituandosi a una condizione migliore di esistenza. Così, i miliardari sono sempre meno e hanno a disposizione la stragrande maggioranza della ricchezza, con un divario che tende ad approfondirsi sempre di più. Guadagni stratosferici a top manager anche inetti, contro stipendi sempre più bassi e lo spettro avanzante della disoccupazione generale.

Dunque, l’ignoranza di cui si parlava nel post precedente non è che la conseguenza di una società dove si propugna la diseguaglianza sociale come valore: chi è ricco lo è per bravura e talento e grinta, e chi è povero è spesso colpevole di esserlo, perché non si parla più di pari opportunità in partenza e cioè una formazione buona per tutti, che sappia dare strumenti uguali, sostegno, incoraggiamento, e una capacità di discernere e orientarsi.

Trionfa il modello competitivo e consumista, individualista, narcisista. Ma davvero è divertente, piacevole, starsene tutti soli in una tavola imbandita di ogni ben di Dio, con gente affamata fuori dalla porta o non è meglio una tavolata di amici, con cibi semplici da condividere?

pinocchio_asinoEra il titolo di un film di Ken Loach. Si vede che allora piovevano pietre in Inghilterra, ora nel nostro paese. Oltre alla pioggia battente che non dà pace, si devono ricevere anche mazzate come le notizie sull’analfabetismo che connota ormai il nostro paese, un analfabetismo subdolo, perché non è di quelli consapevoli, di chi un tempo non era andato a scuola e non sapeva leggere né scrivere. Adesso  a scuola ci vanno tutti, ci mancherebbe altro, ma una volta terminati gli studi (sempre vissuti come uno strazio per la stragrande maggioranza, e soltanto per una risicatissima minoranza vissuti come apprendistato anche piacevole), pian piano si scivola verso l’ignoranza, e non si riesce più a capire un’acca nemmeno da una semplice ricetta per fare un dolce o bagnare le piante, per esempio.

Figurarsi, direte. Si tratta di pochi che già a scuola erano asini. Pochi? Secondo la ricerca pubblicata in questi giorni la percentuale degli “illetterati” è dell’80% in Italia (vedi l’articolo di Simonetta Fiori qui). A me sembra un numero stratosferico, però se lo confronto con i dati di lettura trovo un fortissimo riscontro, dunque…

Quando si dice che leggere non serve a niente, è roba da ragazzi, da perditempo, da signore, quando nessuno sa dirti il nome di uno scrittore, né il titolo di un libro, quando nelle case non c’è ombra di libro (ancora!), quando si toglie dai programmi scolastici la letteratura e persino la lettura, quando si continua a considerare la lettura una faccenda in più, che non concerne la nostra vita pratica, si arriva proprio a questo risultato: che non si sa neppure leggere le istruzioni per montare il sellino di una bici, e neppure le dosi di una pillola, tanto siamo già sedati dalla tivù e dall’uso eccessivo e afasico del cellulare, dove si usano cuoricini e lampi, come i graffiti preistorici.