Orrore vesuviano non è un’esclamazione, è il nome di fantasia di un paese in provincia di Napoli, dov’è ambientato l’ultimo romanzo di Francesco Costa (Bompiani). Copertina di Milo Manara e “endorsement” di Susanna Tamaro che ha scritto una lunga ed entusiastica recensione sul Corriere della Sera a metà luglio, il romanzo si staglia nella narrativa italiana attuale, composta essenzialmente da gialli o da storie sentimentali, perché è un romanzo sociale graffiante, una Gomorra satirica (ma non farsesca, anzi, assai incisiva) tanto più forte e attuale alla luce di funerali di boss in piena capitale italiana.
Il protagonista è Luca, un bambino di dieci anni figlio della bellissima, irresistibile fioraia (una specie di Sofia Loren giovane) che fa strage di cuori: strage vera perché i suoi corteggiatori finiscono tutti ammazzati in modo brutale e misterioso, in quell’Orrore vesuviano all’ombra del vulcano dove si accumulano montagne di spazzatura, e dove i giovanissimi scorrazzano per le strade su motorette, armati di pistole, in stile colombiano di vent’anni fa (a me infatti il romanzo ha ricordato “La vergine dei sicari” del colombiano Ferdinando Vallejo, del 1994).
Lo sguardo è innocente ma non infantile, anche perché Costa sceglie il discorso indiretto libero, accostandosi a Luca, ma mantenendo la terza persona in “soggettiva”, che gli permette di rimandare la classica “agnizione” e fornirci una sorpresa finale coerente e agrodolce.