L’amica geniale (edizioni e/o) è l’ultimo libro di Elena Ferrante, la scrittrice che, come pochissimi autori nel mondo, vive appartatissima, mai fotografata figurarsi ripresa in televisione! Il nome stesso è uno pseudonimo, che accresce il mistero: sarà proprio una donna o chissà, forse un uomo che scrive sotto sembianze femminili?
Senonché, le storie raccontate dalla scrittrice riservata sono tutte al femminile, e toccano temi squisitamente femminili come il rapporto con la madre, la maternità, la relazione con un uomo, la separazione traumatica, e, come in questo ultimo romanzo, l’amicizia femminile, quell’amicizia esclusiva, forte, carnale, fino alla simbiosi, che soltanto le donne stringono tra loro.
La storia inizia negli anni ’50, in una periferia napoletana (Napoli è lo scenario di tutti i romanzi di Ferrante), dove due bambine diventano amiche per la pelle, ma a differenza di molte storie basate sui (buoni) sentimenti, la loro è un’amicizia competitiva, fatta di letture e studio accanito, di sfide all’intelligenza. Lila, piccola, nervosa e “cattiva”, è un genio nella matematica, ha una memoria e una capacità di apprendimento prodigiose; Elena, io narrante, è invece meno talentuosa, più disciplinata, studiosissima, ligia, ma sarà lei a proseguire gli studi fino al liceo classico che, in quella fine degli anni 50 in Italia, e in particolare nel poverissimo Sud, era considerato un traguardo irraggiungibile per il proletariato, anzi, per quella che la ragazza definisce “plebe”.
Insomma, l’amica geniale, che all’inizio pensiamo giustamente sia la strabiliante Lilia, è invece Elena: così infatti la definisce Lilia che, abbandonando gli studi, presto tralascia la lettura, la frequentazione assidua della biblioteca, per dedicarsi a una più banale, raggiungibile, scalata sociale che la vede sposarsi al giovane proprietario di una salumeria e trasformarsi, sedicenne, in una giovane mogliettina piccolo-borghese.
Sono anni lontanissimi, come si vede. Anni in cui studiare è un merito, un’attività che pochi, intelligentissimi e motivatissimi, possono vantare. Anni in cui i bambini che vivono nella periferia di Napoli non sanno cos’è il mare, non ci sono mai stati, come se il mare non bagnasse Napoli, per citare il titolo di un famoso romanzo di Maria Ortese. Ma c’è anche la voglia di emergere, cambiare, trasformare una società semi-rurale, dove la gente non ha memoria per il “prima” in un mondo moderno, dove si perdonano torti e odi da clan, si costruiscono nuovi palazzi confortevoli, si avviano attività, commerci, laboratori, per migliorarsi.
Il merito del romanzo, che come sempre succede nelle storie di Ferrante si legge d’un fiato, è proprio quello di riportarci con vivezza al nostro passato attraverso gli occhi di una ragazza che si dedica allo studio con accanimento, senza però tralasciare gli amici, la vita del quartiere, in sostanza senza tradire un’appartenenza. Il libro però è inconcluso: si tratta soltanto della prima parte di un affresco che durerà cinquant’anni. La seconda parte deve ancora uscire.
Attendiamo fiduciosi con due piccolissimi appunti per l’editore: un’attenzione maggiore ai troppi refusi e una copertina migliore. Oggi pagare 18 euro per un libro del genere è abbastanza seccante: se non si sceglie la versione digitale, che almeno quella cartacea sia bella, valevole della spesa.