Bello questo titolo e bella la storia raccontata da Anilda Ibrahimi, scrittrice italo-albanese che in questo suo ultimo Volevo essere Madame Bovary (Einaudi 2022). Hera Merkuri, protagonista del romanzo, nasce a Santi Quaranta in Albania, e cresce durante il periodo comunista in una famiglia ligia ai dettami del regime, finché a vent’anni parte per l’Italia per motivi di studio e rimane a Roma, finalmente libera di essere femminile, seducente e vanitosa, oltre che creativa al punto di diventare una celebre artista visuale.
A tratti, Hera Merkuri sembra Marina Abramovich, famosa al punto che tutti la riconoscono per strada, ma a differenza della celebre artistar, la protagonista del romanzo si sposa con un editor italiano e ha due figli, coronando un po’ il desiderio di famiglia tramandato da sua madre e sua nonna, ma sentendosi comunque insoddisfatta, inappagata, finché non arriva un uomo (albanese come lei) a restituirle il brivido delle eroine che amava da ragazza: le amanti, le traditrici, le Emma Bovary che giganteggiano nella letteratura ottocentesca, e che con la loro tragicità e la loro voglia di autodeterminazione furono più libere delle donne intruppate in una visione piatta e materialistica del mondo, donne molto simili agli uomini per eliminare ogni disparità e ogni differenza.
Trovo che questo sia un romanzo intenso e importante, perché molto ci racconta dei motivi umani che spingono a cambiare paese, a cercare altri orizzonti, e non c’è bisogno che siano disgrazie terribili, guerre, carestie e regimi feroci. C’è il desiderio umano di curiosità, di evoluzione cognitiva ed esplorativa, di libertà, di andare oltre i propri confini materiali e psicologici, perché “I confini esistono per questo, cambiano il corso delle nostre storie.”
Bisognerebbe riflettere su questo più che su quel richiamo al superamento del patriarcato evidenziato in copertina. Sì, Hera Merkuri è femminista, ma non è soltanto questo, è un mondo.