Mi domando se in Italia potrebbe diventare un best seller un romanzo thriller ambientato nell’Università, per esempio a Tor Vergata e magari nei dormitori degli studenti.
Negli USA e in Inghilterra invece i “college novels” costituiscono un genere che piace ai giovani e agli adulti, soprattutto se, come nel caso di questo “The IT Girl” di Ruth Ware, chi narra è Hanna, un’adulta incinta di sei mesi, e non è mai guarita dal trauma della compagna di appartamento uccisa dieci anni prima, nel prestigioso college di Pelham, a Oxford.
Il caso, che sembrava concluso con l’arresto e la prigionia del custode molestatore, si riapre quando il colpevole muore e un giornalista vuole indagare e approfondire molte discrepanze di un processo basato su un’unica prova: la testimonianza di Hanna, che forse si è sbagliata.
La storia procede in modo un po’ meccanico alternando il “prima” e il “dopo”, l’epoca in cui si svolsero i fatti e l’oggi in cui non c’è pace, né tra la protagonista e il marito (ex della defunta, bello, desiderato e sposato con il disaccordo della famiglia facoltosa di lui), né tra gli ex compagni dell’università, uno colpito da un infarto, un altro solitario e impenetrabile, una fredda e carrierista. Certo è che, con tanti discorsi sulla democrazia e il merito, la caduta di barriere sociali e l’inclusione, a leggere un libro come questo (che mi ha molto ricordato “Dio di illusioni” di Donna Tartt) ci si domanda se ci evolveremo mai dai privilegi di classe e dal discrimine della ricchezza.