Ebbene sì: incollata alle pagine di Mr Mercedes di Stephen King, che come al solito ti agguanta e non ti molla fino alla fine. Magari non sarà il maestro dell’horror di un tempo, come lamentano molti critici soprattutto italiani, però io mi dico due cose: la prima è che uno scrittore ha il diritto e magari anche il dovere di sperimentare al di fuori del suo campo che, nel caso di King, ha inventato. Se poi decide di costruire una detective story sul filone della vecchia “scuola” Hard Boiled, e cioè i romanzi di Chandler o Hadley Chase, a me va benissimo. Anche perché quel genere con King si rinnova, per esempio s’inseriscono le nuove tecnologie e l’uso assassino che se ne può fare. La seconda cosa che mi dico è che se un romanzo è buono, riesce a catturati, ti tiene desto e interessato, io non farei tanto il paragone con il resto della produzione di un autore peraltro prolificissimo.
In più, in questo romanzo d’investigazione su un assassino che massacra gente in coda per cercare un lavoro travolgendola con una Mercedes, c’è quella riflessione interessante sui linguaggi contemporanei offerta in modo semplice ed efficace: l'”Ebonics” parlato da Jerome, il ragazzo afro-americano bravissimo a usare la rete, i tic linguistici del killer, il linguaggio poliziesco, le espressioni di oggi, legate all’uso dei cellulari e della rete, e la capacità di rendere, proprio attraverso il linguaggio, molto vivi e credibili i personaggi. Qualcosa che molti autori, pure famosi, non sanno fare, anche se promettono sfumature di vario colore.