Siete ancora in tempo per passare una domenica bellissima, in compagnia di una musica che un po’ conoscete, un po’ ricordate, un po’ imparerete. Una domenica che ci permette di essere fieri dell’Italia e della sua tradizione musicale, dei suoi registi cinematografici del Novecento e anche di adesso, di persone che si dedicano all’arte con disciplina, rigore, perseveranza e umiltà fino a diventare inconsapevolmente unici, grandi innovatori, maestri, amati da tutti perché sanno cogliere un’essenza profonda e misteriosa, sanno contattare un sentimento universale e trasmetterlo.
Sto parlando del film-documentario di Giuseppe Tornatore, Ennio, sul compositore celeberrimo Ennio Morricone, che ha musicato film importanti e famosi, un artista versatile, che ha saputo coniugare popolarità con cultura intellettuale, trasfondendo la sperimentazione musicale del Novecento nelle colonne sonore di film amatissimi, un musicista che già dalle prime note è inconfondibile, non può essere che lui, Morricone, al punto che dei film ormai non si ricorda niente mentre la musica è incancellabile e talmente orecchiabile che possiamo fischiettarla e canticchiarla, come Mozart, come i Beatles.
Giuseppe Tornatore si mette da parte per raccontare il maestro, assembla una grande quantità di materiale filmico, intervista registi di mezzo mondo, compositori, musicisti, cantanti, produttori, e soprattutto dà voce a lui, al gentile signore anziano dagli occhi scintillanti, grandi come quelli di un bambino, e come carichi di stupore per aver realizzato così tanto, perché in fondo era il suo lavoro: arrangiare, scrivere musica, collaborare con personalità urticanti come registi o cantanti famosi. E non soltanto era un lavoro per portare a casa la pagnotta, ma era pure considerato con un certo disprezzo dal suo maestro Petrassi e dai colleghi del conservatorio, della musica “contemporanea” che non poteva né doveva abbassarsi a essere popolare, figurarsi essere “colonna sonora”.
Ma la genialità dello schivo maestro è stata quella di creare una nuova musica, non di accompagnamento, ma narrativa, evocativa, suggestiva, emozionante, una musica che “fa” il film e senza la quale certi film non sarebbero così toccanti, come “The Mission”, come “C’era una volta in America”, una musica che può anche fare a meno dei film per essere suonata in arena, in teatro, da orchestre con immensi cori e da rockband, da rapper e da cantanti lirici.
Ho la fortuna di avere avuto un papà musicofilo, amante di Beethoven, di Verdi e di Morricone. Negli anni ’70 dello scorso secolo, mio padre ascoltava con attenzione e piacere i nastri registrati con le musiche “dei western” e non pochi lo prendevano in giro: come mai Morricone, tu che ami Verdi? E lui: Proprio per questo, è il nuovo Verdi, il nuovo Beethoven. Oggi, lo dice Quentin Tarantino alla serata degli Oscar, lo dicono compositori e musicisti. Mi commuovo molto e penso che uomini come Ennio e un po’ anche mio papà, grazie alla conoscenza della musica, vedevano e ascoltavano il futuro.