Homo homini lupus, diceva il terribile detto latino che si presta perfettamente al film di Martin Scorsese, “The Wolf of Wall Street”, appunto il lupo del centro finanziario del mondo. Lupi, leoni, tigri: si vedono così questi uomini della finanza, come animali nobili e forti, predatori naturali, ma non hanno nulla di quell’energia e quell’istinto, né del compito che i predatori hanno in natura, anzi. Sono piuttosto parassiti, vermi, tigne, esseri spregevoli, squallidi, avidi, depravati, drogati, al punto che non c’è nessun animale cui possano paragonarsi, se non il più folle e insicuro, malato animale della terra, ossia l’essere umano.
Il film ci racconta l’ennesima storia di vita pazza, materialistica e disgustosa di persone che purtroppo decidono destini di molta gente, rubandogli soldi, compromettendone il futuro, finché non sono fermati da qualche paladino della giustizia. E anzi, ci consoliamo un poco a vedere che almeno in USA una carriera così spregiudicata è subito posta sotto attenzione e nel giro di cinque anni subisce un arresto (vero e proprio: certi criminali qui vanno in galera). In più, Scorsese vira anche sulla satira di costume e riesce a mettere in ridicolo quel che potrebbe essere una fosca tragedia.
Titaneggia come al solito Leonardo Di Caprio, sempre a suo agio nei ruoli di gangster dalla faccia pulita. Quanto a Scorsese, ci mostra le nuove “gang di New York” in un affresco da Satyricon, con orge e sballi che ti fanno domandare: ma davvero ci si diverte, in questo modo? Conviene fare tanti soldi per finire in una bolgia infernale? Vendere l’anima al demonio non è mai conveniente: si diventa poveri diavoli, in tutti i sensi.