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Il film di Russell è presentato come irrisolto, caotico, un po’ un pasticcio a discapito di una fotografia bellissima e di magistrali movimenti di macchina. Si sa che la padronanza tecnica non fa il capolavoro, ma di sicuro può restituisci un buon film, che in certi punti si dilunga e sembra perdersi, ma alla fine riesce a rimettersi insieme e somigliare ai famosi classici che si rimpiangono sempre.

Perché dai classici Russell di sicuro è partito, per esempio da Jules et Jim dell’adorato Truffaut, con i tre amici, due uomini e una donna che passano il tempo divertendosi dopo una delle più spaventose guerre di tutti i tempi, il Primo Macello Mondiale. Che sia stato un grandissimo macello il regista lo fa quasi toccare con mano con le scene dei feriti, dell’estrazione delle pallottole e del ferro che l’amabile infermiera interpretata da una meravigliosa Margot Robbie usa per realizzare sculture e quadri surrealisti, alla Duchamp.

Il look di Margot in questa prima parte del film è ricalcato su Tina Modotti, la fotografa compagna di artisti, amica di Frida Khalo, rivoluzionaria, femminista, donna libera e antesignana della libertà femminile. Soltanto per questo personaggio vale la pena di vedere un film che un tempo si sarebbe detto “carico di immaginazione”, e ricco di “sottotrame” di vari generi: la spy story, il film di guerra, la commedia romantica, la parodia storica, il film di denuncia razziale, insomma non un pasticcio ma un “pastiche” con diversi registri, con attori molto brillanti e in grado di uscire dai soliti ruolo, come il quasi irriconoscibile Christian Bale.

A me è sembrato un film fantasioso, bello per le immagini, e persino un po’ checoviano con quell’aspirazione a tornare ad Amserdam, città d’amore, arte e libertà che sta per cadere sotto i nazisti. Ma i nostri eroi, belli e innamorati, fuggiranno altrove, e la destinazione non ci viene detta, non si sa.

Confesso la mia spaventosa ignoranza dell’arte contemporanea, che mi spiace perché gli artisti non sanno soltanto interpretare gli aspetti nascosti della nostra vita, le condizioni anche più difficili dell’umano, ma sanno offrire visioni d’infinito, sanno essere di esempio per la loro ricerca di assoluto e a volte anche per la modestia com cui conducono le loro vite, indifferenti al consumismo.

Meno male che ho visitato la mostra Love a Milano! Ho scoperto così la celebre artista giapponese Yayoi Kusama e mi sono incuriosita al punto di leggere la sua autobiografia “Infinity net” (Iohan & Levi, 2013).  Negli anni ’60 dello scorso secolo, Kusama, emigrata negli Stati Uniti dal Giappone conservatore per fare l’artista, fu una specie di “sacerdotessa” della cosiddetta “rivoluzione hippie” americana, e organizzava scandalosissimi happening. Ma la sua fama è legata alle grandi opere di reti realizzate con piccolissimi puntini, reti infinite che si espandono e coprono tutta la superficie oltre il quadro, che si moltiplicano in specchi, mentre scultura i pois diventano tante piccole sfere d’acciaio che galleggiano sulla superficie di un lago o del mare.

Non soltanto pittrice e scultrice, ma anche regista, produttrice di musical, stilista, coreografa, oggi Yayoy Kusama è una signora di ultraottantenne tornata a vivere in Giappone quarant’anni fa dopo i fasti americani. Sorprendentemente, una donna dalla fama riconosciuta mondialmente, confessa in questa autobiografia: “Ho dipinto, scolpito e scritto per decenni, da quando sono in grado di ricordare, ma se devo essere sincera, non sono ancora del tutto sicura di essere diventata un’artista. Ogni opera è un passo lungo il cammino, una ricerca disperata della verità con pennelli, tele e materiali.”

Una simile dichiarazione commuove, in un mondo dove tutti sono artisti, più o meno incompresi e soprattutto artisti dopolavoristi.

ghelliLa notte di San Valentino se n’è andato un caro amico, Giuliano Ghelli, un artista solare e gioioso, che con i suoi quadri e le sue sculture ci ha offerto una visione armoniosa, serena, del mondo.

Ho avuto la fortuna di conoscere e apprezzare Giuliano grazie ad amici comuni e visitare le sue mostre sempre incantevoli, ammirando in più occasioni il suo famoso “esercito di terracotta” formato da busti di donna con frasi incise, un esercito tutto femminile, anziché di guerrieri, e dunque un “esercito della pace”. Giuliano ha dato così il suo meraviglioso contributo alla pace e alla comprensione, a cominciare da quella tra uomini e donne.

Giuliano è scomparso fisicamente, ma non il suo spirito che resta con noi grazie alla sua arte rasserenante e luminosa.

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